E ... vorrei (una delle storie di Onda1965 alias milly_n_a)

È bastato uno scellerato errore anagrafico ed il suo mondo di bambino si è girato a rovescio. Quel nome, che sembra calzargli più di quello che gli ha dato sua madre, ha segnato la sua vita

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  1. milly_n_a
     
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    Ciao a tutti, sono Onda o Milly, come preferite. Ringrazio Tonia Cimini per avermi "iniziato" anche a questo blog. Spero vorrete farmi sapere cosa pensate del mio hobby.

    Capitolo 1 - Lupo

    Quando si dice che la sorte ti sorride …
    Sua madre, accanita lettrice di romanzoni d'amore, prima che lui nascesse aveva deciso che si sarebbe chiamato Tancredi se maschio o Angelica se femmina, e visto che era maschio, gli era toccato a battesimo quell'altisonante nome da nobiluomo d'altri tempi.
    A tre anni lo avevano mandato all'asilo dalle suore che, povere donne, avevano fatto una fatica terribile a chiamarlo con quel nome che, tra l'altro, i piccoli compagni storpiavano in tutti i modi possibili, anche se non ci mettevano ancora malignità.
    Quando aveva iniziato le elementari, dopo solo una di settimana di scuola, la maestra aveva convocato i suoi genitori.
    «Buongiorno, sono il padre di Tancredi» si era presentato l'uomo porgendo la mano alla non più giovane maestra.
    «Buongiorno, signor Tancredi. Non siamo così formali: i bambini qui vengono chiamati per nome, non come nelle medie e nelle superiori.» La donna aveva notato lo sguardo stranito del padre del suo alunno, ma aveva continuato con l'argomento che più le premeva. «Sono un po' preoccupata per Lupo: è attento e quasi sempre garbato, ma non risponde mai quando lo si chiama.»
    Lui aveva strabuzzato gli occhi «Guardi che Lupo è il cognome: io sono Marco Lupo» e, senza attendere oltre, aveva estratto la carta d'identità dal portafogli e gliel'aveva mostrata. «Chiamatelo con il suo nome e vedrete che vi risponderà.»
    «Allora forse c'è stato un errore di trascrizione, perché a noi risulta a rovescio, ossia: Lupo il nome e Tancredi il cognome … comunque la cosa mi solleva abbastanza: temevo davvero che ci fosse sotto qualcosa di grave, non uno sciocco malinteso. Inoltrerò un reclamo in segreteria e cercheremo di chiarire con l'ufficio anagrafe del Comune. Non si preoccupi: presto andrà tutto a posto.»
    Niente poteva essere più lontano dalla realtà.

    Tutto era cominciato quando Marco era andato negli uffici centrali del Comune a far registrare il figlio nato un paio di giorni prima. C'era una nuova impiegata che lui non aveva mai visto e che era evidentemente alle prime armi.
    L'atto di nascita era stato compilato con nome e cognome nell'ordine inverso e nessuno aveva mai fatto caso alla cosa perché Tancredi non era mai stato ricoverato all'ospedale, non aveva mai avuto bisogno di un documento di identità -non essendo mai uscito dai confini dello Stato- e non gli erano mai stati richiesti documenti ufficiali, poiché le suore conoscevano sua madre fin da bambina e non avevano l'abitudine di chiedere certificati a chi portava i propri figli al loro asilo, a meno che non fossero “gente di fuori”.
    «Mi dispiace signor Lupo, ma suo figlio è stato regolarmente registrato così ovunque.» Aveva spiegato il funzionario del Comune «Per apportare la modifica necessaria, si dovrebbe richiedere una variazione dei registri dello Stato Civile, cosa peraltro impossibile perché i termini di impugnazione dell'atto sono scaduti. Di conseguenza non resta che la modifica del nome, ma non penso di doverle spiegare in che periodo stiamo vivendo: con tutte queste nuove leggi contro il terrorismo, far cambiare nome ad una persona, per giunta un minore, è un'impresa titanica.
    Ritengo che vi convenga aspettare che diventi maggiorenne e faccia personalmente la propria richiesta.»
    «Ma è un pasticcio amministrativo! Possibile che non si possa metterci rimedio d'ufficio?» Aveva tentato di protestare Marco.
    «Non è importante da dove provenga l'errore … se qualcuno se ne fosse accorto subito si sarebbe potuto ovviare, ma ora … lasciate fare: diventerà maggiorenne in un lampo e allora, se ancora vorrà, potrà far apportare la correzione.»
    Da quel momento era divenuto ufficiale: il suo nome sarebbe stato Lupo e mamma e papà si erano profusi con lui in spiegazioni in merito al fatto che fosse proprio così.
    E mentre il nome Tancredi sarebbe stato facile da storpiare, o da farci su chissà che parodia legata agli sceneggiati che spopolavano in TV in quel periodo, con Lupo c'era poco da fare, tutt'al più qualche ululato. Così aveva schivato le peggiori prese per i fondelli da parte dei compagni di scuola, perché si sa: nessuno riesce ad essere più crudele dei ragazzini.

    Lupo era comunque un nome che gli si addiceva parecchio, col carattere chiuso che si ritrovava: dava poca confidenza, ma quei pochi amici facevano parte del suo branco e guai a chi avesse anche solo pensato di toccarli. Il suo rendimento scolastico era buono, perché era un ragazzo intelligente, ma la condotta lasciava a desiderare: era irrequieto, disegnava sempre, dovunque, e spesso veniva coinvolto in piccole risse.
    Malgrado il fisico asciutto e forte, non si interessò mai di sport, neanche il calcio lo entusiasmava, e non volle mai partecipare a gare scolastiche e interscolastiche di atletica, pur avendo una naturale propensione per il salto in alto e la corsa.
    Dopo il liceo scientifico -dove il padre lo iscrisse contro la sua volontà, che invece avrebbe virato sul ramo artistico- frequentò per un semestre la facoltà di ingegneria civile, quindi diede forfait.
    Studiare non era la sua vita, anche se gli riusciva piuttosto bene, e soprattutto sentiva il bisogno di imbrigliare in qualche modo quella rabbia ingiustificata che gli ribolliva da sempre nel sangue.
    Perse tempo per un po', in giro con compagnie discutibili, poi una notte si ritrovò in mezzo a gente armata di coltello a serramanico e la cosa non gli piacque: non si trattava più di “cazzeggiare” con gli amici, stava diventando un lavoro, un brutto lavoro.
    Quell'esperienza gli valse un tour al pronto soccorso con una ferita da taglio sopra l'occhio sinistro, che gli divideva in due l'arco perfetto del sopracciglio, ed un considerevole numero di punti. Quindi si tirò indietro da quel giro e sparì per quasi un anno, recidendo improvvisamente i contatti con tutti, anche con i propri genitori.
    Quando tornò a casa, suo padre quasi non lo riconobbe: aveva barba e capelli lunghi, il tatuaggio di un drago cinese multicolore albergava sulla sua spalla sinistra, era ancora più asciutto e nervoso di prima, i suoi muscoli erano più definiti, soprattutto quelli delle braccia, ma aveva una luce negli occhi blu, la luce di chi ha trovato quello che cercava, di chi ha scoperto il proprio posto nell'infinità del cosmo.
    «Voglio fare il fabbro» esordì parlando con i propri genitori il giorno dopo il rientro «e non dovete preoccuparvi per me, imparerò il mestiere e saprò cavarmela.»
    Lupo si propose quindi come garzone di un anziano artigiano, che aveva una bella officina attrezzata di tutto punto in periferia: avrebbe lavorato per lui con la paga da apprendista. Dopo un paio d'anni l'uomo si ritirò lasciandogli l'azienda con una stretta di mano e il cinquanta per cento del prezzo dell'avviamento e dei macchinari. Il giovane avrebbe versato il resto, in rate mensili, per i successivi cinque anni.
    L'impegno fu continuo e, per il lustro successivo, il giovane non mancò neppure un giorno dall'officina, né rifiutò una commessa, grande o piccola che fosse, lavorando spesso anche i giorni festivi.
    Finito di pagare l'azienda, il vento cambiò: Lupo, divenuto più selettivo, cominciò a dedicarsi non solo ai lavori che gli davano da vivere, ma soprattutto a ciò che più gli piaceva, ossia oggetti in ferro battuto. Scoprì così che una clientela scelta e d'élite, disposta a spendere, li apprezzava, tanto e più degli altri suoi manufatti.
    Era un artista e creava bellissimi oggetti d'arredamento: tavolini, specchiere, letti, lampade e quant'altro. Il giorno del compleanno di sua madre, il giovane si presentò a casa con un mazzo formato da cinque rose in ferro smaltato e antichizzato: erano talmente belle che sembravano vere e la donna pianse per la commozione ... e perché il figlio aveva affittato un appartamento non lontano dall'officina e aveva deciso di andare a vivere per conto proprio.
    Nel frattempo Lupo non aveva smussato i propri angoli, né era divenuto più socievole: i soliti amici scelti passavano dall'officina e si facevano una birra con lui, qualche domenica andavano alla spiaggia a Marina di Ravenna, qualche volta uscivano la sera, andavano in un pub a bere oppure in discoteca.
    Rimorchiava spesso e volentieri, ma erano sempre storie di sesso, da una botta e via. Nessuna donna era riuscita a scalfire il suo cuore; e dire che c'era una certa Vanna che gli moriva dietro da un po' ed era una vera bellezza: capelli lisci, lunghi, di un caldo color miele, occhi verdi, un fisico da urlo e sempre vestita alla moda; ma lui non voleva saperne.
    Solo una, che chiamarla donna era un azzardo, aveva fatto presa su di lui: Sandra.
    Era una tipa strana, capelli indomabili sempre di un colore diverso ogni volta che la si incontrava, androgina, portava solo salopette di jeans e camicie a quadri, faceva il meccanico in un'officina e gli aveva aggiustato la moto un sacco di volte.
    Erano amici da quando lui aveva iniziato a lavorare da fabbro, si scambiavano visite reciproche, mangiavano insieme ogni tanto ed era l'unica persona con la quale Lupo spiccicasse più di un monosillabo per discorso.
    Quando Mario, uno degli amici di uscite, una volta gli chiese che tipo di rapporto avesse con Sandra, lui ci pensò un attimo, poi rispose:
    «Lei è il mio migliore amico.»
    «Ma è una donna» obiettò Marco «e lo sai che non ci può essere amicizia tra un uomo ed una donna.»
    «Ma che donna …» ghignò allora il fabbro «è una vagina tra le gambe di un uomo: non c'è nessuno maschio come Sandra, tra tutti noi. Infatti sta con Giulio» aveva terminato lapidario.
    A quel punto Mario espresse tutta la propria curiosità di conoscere fino in fondo le teorie dell'amico. «E perché? Giulio che cos'è?»
    «Giulio è un'arma letale: un pene fra le gambe di una donna, è il miglior avvocato divorzista di tutta la regione, e forse oltre. E secondo te un uomo uomo avrebbe mai la malizia di fare così bene il suo mestiere? È la iena più assetata di sangue dei paraggi, ma quando è con Sandra diventa un agnellino … con le zanne.» risero entrambi.
    Bevvero un lungo sorso di birra, poi Mario parlò di nuovo con la sua candida curiosità. «E tu non senti il bisogno di aver vicino qualcuno? Intendo qualcuno che abbia più volte la stessa faccia?»
    «Per carità!» Rispose l'altro rischiando di farsi andare la bevanda di traverso «Ho abbastanza grattacapi così, grazie!»
     
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  2. milly_n_a
     
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    Capitolo 2 – I Due Delfini

    Quel sabato aveva fatto un caldo da record e, in un pub con l'aria condizionata, erano rimasti tutta la sera a scherzare, a chiacchierare, ad ascoltare i racconti delle ultime avventure di Nanni.
    Lupo si assentò una sola volta, quando una bionda da vertigine, dopo averlo puntato per quaranta minuti buoni, gli si sedette letteralmente in braccio e lo convinse a scortarla nel privé: ne seguirono trentacinque minuti di sana attività fisica.
    Terminato il sesso, lui chiarì che la serata non avrebbe avuto un seguito nei giorni a venire, che lui sarebbe tornato dai propri amici e, a meno di non restare anche lei con loro, e solo per bere e parlare, era il caso che lo lasciasse perdere.
    «Tanto bello quanto stronzo» lo tacciò la ragazza, ma non sembrava molto seccata.
    «Non ti ho cercato io.» ribatté lui, sullo stesso tono.

    «Cosa mi sono perso?» Domandò Lupo tornado a sedersi -da solo- al proprio posto.
    «Domani si va al mare» lo aggiornò Sandra da sotto la sua chioma biondo platino «al solito posto: da Duilio, a Marina di Ravenna.»
    «Per me va bene» accettò lui «e speriamo che almeno là si possa respirare un po'. Quanti siamo? Avete già fatto le macchine?»
    «Io non ci sarò» intervenne allora Giulio irritato «ho un caso spinoso per le mani e domani sarò a scartabellare cartaccia tutto il giorno. Te la porti tu?» gli chiese ammiccando verso la propria compagna «Non voglio che resti a casa a languire tutto il giorno.»
    «Certo» assentì il fabbro «porto il casco in più, allora.»
    «E mi raccomando: non correre troppo e … mani a posto» pregò l'avvocato scostante.
    «Promesso» acconsentì Lupo, senza cogliere lo spunto per un litigio. Teneva davvero molto all'amica e, visto che lei amava quel tizio, qualcosa di buono in lui doveva esserci per forza, quindi fece buon viso a cattivo gioco.
    La serata non terminò troppo tardi. Si lasciarono con l'appuntamento alle sette del mattino successivo: sarebbero partiti presto per non restare bloccati nel traffico.

    Sandra in sella dietro di sé era come un prolungamento del proprio corpo: lei sapeva assecondare ogni più piccola variazione di equilibrio, riusciva a prevedere le sue mosse e le sue reazioni alla strada. In tre quarti d'ora arrivarono alla meta e, siccome degli altri non si vedeva l'ombra, li attesero parlando.
    «Avresti preferito restare a casa con Giulio?» Le chiese scrutando il suo sguardo un po' troppo serio.
    «Scherzi?!» Reagì lei riavendosi dai propri pensieri «Quando ha casi importanti come questo, è nervoso, diventa intrattabile e, più cerchi di stargli vicino, peggio è. Non ti sei accorto che ieri sera non ho reagito alla battuta delle mani a posto? In un'altra occasione me lo sarei mangiato, ma non adesso.
    Ha bisogno di spazio e di silenzio: basta rendersene conto e agire di conseguenza … tanto oggi ci facciamo una giornata di mare -che per lui non è che sia il massimo- e a me piace un sacco» sorrise rifilandogli un finto pugno su una spalla «vedrai quante volte ti ci lascio in acqua: mi sento davvero in forma!» Ecco, era di nuovo la solita Sandra.
    «Spari sulla Croce Rossa, oggi: già parti avvantaggiata perché hai stile e io invece sono un caprone … e poi sono distrutto. Che settimana! Da non augurarla neanche al peggior nemico …» Lupo lasciò il discorso a metà perché stavano arrivando gli altri amici.
    Entrarono tutti insieme nello stabilimento balneare “I Due Delfini” di Duilio Giudice, un ex compagno di scuola di Berto, che li accoglieva sempre volentieri. Andarono subito a salutarlo e ad affittare gli ombrelloni.
    Siccome erano una bella compagnia, dieci persone, presero quattro enormi parasole contigui, dotati di lettini, quindi decisero di prenotare per il pranzo.
    «Che c'è di buono oggi?» Domandò Nanni.
    «Te pensi a soddisfare la bocca o l'uccello: nient'altro ti preoccupa!» Lo apostrofò Giovanna, detta “La Giò” -sì, con l'articolo- «Ma possibile che non cambi mai?»
    «Se cambiassi, non ti piacerei più» la stuzzicò l'amico abbracciandola e facendo finta di baciarla.
    «Ma smettila, va: non ti vorrei neanche se fossi l'ultimo uomo sulla terra» rise lei liberandosi facilmente dalla stretta.
    «Allora: se la smettete di fare i cretini, magari riusciamo a farci preparare qualcosa. Che ne dite? Altrimenti, va a finire che restiamo a becco asciutto» si intromise Mario.
    «Ma quanta saggezza!» Lo rintuzzò Sandra un po' acida.
    «Va bene! Adesso vi siete presi per il culo a sufficienza?» Domandò Duilio con un ghigno saputo, guardandoli tutti alternativamente «Perché se basta così, io prendo le ordinazioni, sennò me lo dite che mi faccio un giro e, quando siete pronti, mi mandate un telegramma.»
    Era due anni più vecchio di Lupo, di famiglia toscana e, malgrado fosse cresciuto in Romagna, non aveva perso né l'accento, né lo spiritaccio, pronto sempre allo scherzo e alla battuta.
    Dopo che ebbero deciso per il cibo, li accompagnò agli ombrelloni, ben vicini alla battigia, due sulla prima fila e due sulla seconda.
    Si disfarono di borse ed abiti e le ragazze cominciarono a spalmarsi di crema solare, tutte meno Sandra.
    «Andiamo a sentire com'è l'acqua?» Propose quindi quest'ultima, ormai vestita solo del costume olimpionico. Quand'era ragazzina aveva praticato nuoto agonistico per anni, aveva anche avuto le sue soddisfazioni -un paio di medaglie ai nazionali-, ma poi aveva avuto un incidente ad una spalla e, malgrado l'operazione, non era mai più tornata come prima, così aveva dovuto abbandonare l'agonismo poco meno che ventenne.
    «Ma dai … a quest'ora sarà fredda. Lasciale prendere qualche ora di sole almeno» si lamentò Laura, moglie di Bobo.
    «Sì, così, quando ci entri è calda come piscio» la riprese Berto: come al solito poche parole mirate, le sue.
    «E sai quanto ce ne sarà davvero, di piscio, dopo una cert'ora» rincarò la dose Sandra. Ci teneva davvero ad andare a stancarsi un po' in acqua: aveva da smaltire nervosismo a palate. Non era stata una settimana semplice neppure per lei. «Io vado, tu vieni?» Chiese stavolta rivolgendosi soltanto a Lupo.
    «Se fai ancora due parole, sentiamo le campane di mezzogiorno» la prese in giro lui cominciando a correre verso l'acqua «chi arriva ultimo alle boe rosse paga da bere.»
    «Maledetto,» lo apostrofò lei ridendo «disonesto: sei partito prima, ma tanto in acqua ti prendo: prepara i soldi per una gassosa maxi» e si buttò all'inseguimento.
    Il bello di avere un amico come Lupo era che si poteva contare su di lui sempre e che non era mai necessario dare spiegazioni.
    Nuotarono fianco a fianco nell'acqua fresca e cristallina del primo mattino, come ogni volta, Sandra sopperiva all'inferiorità fisica con la netta superiorità stilistica e, giunti in vista delle boe rosse, allungò per il semplice gusto di fare un po' di scena.
    Si aggrappò al galleggiante e cominciò ad urlare «Ah,ah! Battuto da una donna alta mezzo metro meno di te. Non dirlo in giro, che ti prendono per una femminuccia. E dire che ti sei preso un bel vantag-» non riuscì a terminare la parola perché una grande mano del fabbro calò sulla sua testa e la inabissò.
    Tornò a galla sputacchiando «Ma allora vuoi la guerra … e dillo che vuoi la guerra» e, con la complicità dell'amico che, a parte quella prima manata, non abusò più della propria forza, si vendicò sghignazzando e riuscì a sciogliere il nodo di tensione che le comprimeva lo stomaco.
    Quando tornarono a riva, dopo più di un'ora, entrambi trascinavano i piedi dalla stanchezza. Si lasciarono andare, senza neppure asciugarsi, sui teli di spugna stesi su due lettini vicini, il cui ombrellone era ancora chiuso.
    Gli altri giocavano a carte e prendevano il sole. Intanto la spiaggia si era andata man mano riempiendo di bagnanti: coppie con bambini, nonni e nipoti, fidanzati, amici, compagnie miste come la loro, di tutto un po' insomma.
    «Com'è l'acqua?» Domandò Laura.
    «Un piscio!» Sghignazzò Sandra «Scusa per prima … avevo bisogno di smaltire.»
    «Tranquilla, ce ne siamo accorti che eri più elettrica del solito. Noi andiamo a fare un paio di bracciate» aggiunse tirandosi dietro un Bobo riluttante: lo sapevano tutti che non amava l'acqua, né in piscina, né al mare … e anche per bere, preferiva la birra.
    Al contrario di Sandra, che diventava subito nera come un'africana, Lupo aveva la carnagione chiara e, anche se avevano già trascorso diverse giornate al mare, la sua pelle era colore dell'ambra e non accennava a variare di tonalità.
    Sembrava fosse un David di Michelangelo fatto d'oro, soprattutto così bagnato, steso nel sole del mattino, abbandonato alla stanchezza dovuta alla settimana di lavoro forsennato, alla nuotata estenuante di poco prima e alle performance occasionali come quella della sera antecedente. Anche quelle, ripetendosi abbastanza spesso, avevano il loro perché nella sua necessità di riposo.
    Si addormentarono, entrambi spossati e finalmente tranquilli: il resto della compagnia era a bagno, a parte la Giò che leggeva in silenzio, rigorosamente all'ombra, unta di protezione cinquanta o avrebbe rischiato l'ustione della pelle chiarissima.
    Nanni ebbe pietà dei due dormienti e, di ritorno dall'acqua, aprì l'ombrellone per evitare loro una scottatura coi fiocchi. Poi partì in caccia.
    Mario, a mezzogiorno, preoccupato che stessero ancora lì stesi immobili, si avvicinò loro per sincerarsi che fossero vivi e tanto fece, che li svegliò.
    Entrambi intontiti per il sonno interrotto bruscamente, si tirarono a sedere e cercarono di prendere parte alla vita del gruppo.
    Nanni tornò in quel momento con un sorriso da gatto che ha appena ingoiato il canarino «Allora? Si va a mangiare?» domandò.
    «Perché? Di scopare hai già finito? O non hai trovato di che sfamarti?» Fu il commento della Giò che aveva appena alzato il naso dal proprio libro.
    «Però davvero sembra che tu sia un po' gelosa …» si lasciò scappare Nando.
    Se un'occhiata avesse potuto incenerire, di lui non sarebbe rimasto che un mucchietto di polvere. «Gelosa io? Ma sai quanti ne trovo di quella risma? Cosa potrei farne di uno che si avventa su qualunque cosa che respiri ed abbia un buco?» Lo zittì.
    «E Luigi … perché non c'è oggi?» Domandò innocente Mario.
    «Certo che te … un cestino di affari tuoi, mai, vero?» Lo zittì Laura.
    «Andiamo a mangiare che è meglio!» Propose Lupo, pacificando tutte le contese.
    Mangiarono di gusto il cibo preparato dalla mamma di Duilio, che gli governava la cucina. Il pomeriggio trascorse placido e pigro: giocarono a carte sotto gli ombrelloni, a pallavolo nell'acqua bassa e riposarono ancora, sdraiati placidamente, chi al sole, chi all'ombra.
    Lupo, stanco com'era, per almeno due volte fece finta di non accorgersi delle occhiate insistenti di altrettante ragazze della spiaggia e un altro paio si nascose dietro a Sandra: facendo altrimenti, avrebbe rischiato di addormentarsi guidando o, almeno, di non riuscire ad alzarsi il giorno dopo.
    Verso le sette, quando le ombre cominciarono ad allungarsi, la comitiva, dopo aver salutato cordialmente Duilio ed avergli promesso di tornare ancora, prima della fine della bella stagione, riprese la strada di casa.
     
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